Information is a public good & Nonprofit Media Organization


Ad Aprile dovrebbe uscire “Saving the Media – Capitalism, Crowdfunding, and Democracy”, di Julia Cagé, Assistant Professor of Economics nel Dipartimento di Economia presso “Sciences Po” a Parigi. Ad anticipare questa uscita sono in circolazione due presentazioni (The Future of the Media [pdf] e Saving the Media – Capitalism, Crowdfunding, and Democracy [pdf], via) e il video di un seminario tenuto dalla stessa Cagé.

Da questi documenti riporto un paio di argomenti che  somigliano in modo entusiasmante ad alcune delle ipotesi e delle conclusioni del mio lavoro di ricerca, #1news2cents:

  • Information is a public good (Media matters because it provides information to voters, Need for government intervention), come punto di partenza
  • Nonprofit Media Organization (Must invest any surplus revenue back into the organization), come soluzione. Qui ne avevo già segnalato un esempio per quanto il mio punto di riferimento continua a rimanere il Modello “alla Yunus”

Mi sento meno solo 🙂

Giornalisti, Editori, e Tecnologia. Ma prima un Modello Sociale!

I trend tecnologici rappresentano ancora il faro all’orizzonte per un’industria che forse potrà continuare a finanziare il giornalismo (in perdita) se riuscirà a spostare il focus del business sulla tecnologia. Dovrà però smetterla di ragionare in termini di prodotto e cominciare a farlo in termini di servizio: se c’è ancora spazio per “fare soldi”, risiede nelle piattaforme di abilitazione. Il binomio fra trend tecnologici e nuove forme di monetizzazione dell’esperienza dei lettori rappresenta il futuro immediato.

Se l’Esperienza è buona, tra noi e il nostro “lettore” può crearsi Empatia. Parente stretto dell’empatia (e molto legato anche all’esperienza) è l’Engagement […]. E per creare engagement, bisogna suscitare Emozioni. […]. Di costruire “emozioni intorno al brand” ha parlato Mary Walter-Brown, publisher del Voice of San Diego […].

[…] c’è ancora spazio per il giornalismo? La risposta è ovviamente sì, altrimenti cadremmo nel paradosso di una società basata sull’informazione costante che però prosciuga le sorgenti di questa informazione. Però non c’è nessuna evidenza che il giornalismo debba ancora restare legato all’editoria, anzi semmai comincia a esserci qualche evidenza del contrario […].

Avete presente Torrent? Il file sharing via browser che bypassa i server? Beh anche nell’ambito dell’informazione si arriverà presto a uno scenario del genere, allo scambio one – to – one. […] È certo che andiamo verso un mondo nel quale trionfa il rapporto diretto tra individui – o comunità di individui – rispetto al ruolo del fornitore del servizio, con un rovesciamento dei ruoli […].

Questo e tanto altro ha riportato Andrea Iannuzzi dalla conferenza dell’Online News Association tenutasi nei giorni scorsi a Los Angeles.

La strada, quindi, sembra essere quella di un giornalismo di servizio non necessariamente legato all’Editore e basato, oltre che su nuove soluzioni tecnologiche, soprattutto sul rapporto fiduciario che va ricostruito tra giornalista e lettore, cioè tra cittadini. Certo, si tratta di capire come rendere redditizio questo gioco (senza troppe illusioni, però: come osserva Antonio Rossano, in Italia è strutturalmente utopico che una industria editoriale possa avere il successo del New York Times); sono però convinto che nessun modello di business funzionerà se non sarà stato prima rifondato un modello sociale.

Il giornalista, nell’esercizio del suo ruolo sociale, deve a mio avviso essere l’attore principale di questa rifondazione (il modello sociale su cosa deve basarsi se non sulla fiducia?). Soprattutto ora che la figura ingombrante dell’Editore sta diventando marginale (lo ha detto anche Alberto Puliafito a #digit15).

Slow News. Benvenuti!

Slow

La visione di ciò che mi piace definire “nuovo futuro del giornalismo” è l’applicazione all’Impresa Editoriale di concetti e pratiche proprie di ambiti che, almeno in apparenza, con l’Editoria hanno poco a che vedere. Nel blog in cui ho sviluppato il mio lavoro ho spesso parlato di “Notizia Equa e Solidale”, “Impresa Editoriale con Finalità Sociali”, “Modello Fotovoltaico”, “GAS, Gruppi di Acquisto Solidale”, e via discorrendo.

In questo percorso, una delle letture che ricordo con più simpatia, è quella di un saggio molto leggero, Slow News, Manifesto per un consumo critico dell’informazione; un libricino scritto da Peter Laufer che mi si parò davanti in libreria in un momento in cui stavo già maturando parecchie delle mie convinzioni. Quelle che poi, con qualche ritocco, qualche riflessione e qualche formula matematica in più, finirono in #1news2cents.

Accolgo, quindi, con grosso favore e tanto interesse l’iniziativa (via) di Slow News, “un posto in cui – dice Alberto Puliafito, uno dei promotori dell’iniziativa – si rallenta. Magari ci si ferma pure.”

Curiosità: Gabriele Ferraresi affronta, nell’intervista pubblicata su DatamediaHub, il tema del Modello di Business: “Il nostro modello di business è basato su micropagamenti: pagare pochissimo, in tanti, speriamo sempre di più. Otto numeri, ovvero un mese di Slow News, valgono 2 euro, cinquanta centesimi a settimana. L’abbonamento annuale, oltre ottanta numeri, costa 18 euro, 1,5 euro al mese, neanche 2 centesimi a numero.”

Ecco, appunto: 2 centesimi.

P.S. confesso di trovare troppo restrittiva, nel senso che non ne comprendo l’impostazione, la policy degli eventi per i quali i giornalisti Slow si mettono a disposizione.


Aggiornamento 4 Marzo

Sono stato davvero Slow, e me ne scuso, ma alla fine riesco a ringraziare Alberto Puliafito che, dopo qualche battuta su Twitter, ha dedicato un post intero per chiarire la Policy sulla quale avevo espresso delle perplessità:

Non si tratta di essere “contro” l’online – spiega. Anzi. Si tratta di immaginare un mondo “altro” di concepire sia il lavoro del giornalista come “canale” fra una storia e il pubblico, sia il ruolo del pubblico. […] le nostre regole sono una provocazione mirata, non fine a se stessa, perfettamente coerente con il nostro modo di provare a stare online.

Quella Slow è una sfida importantissima e chiunque ci si cimenti merita grandissimo incoraggiamento.

Sono convinto che la sfida Slow si vince se si rimette al centro la riflessione su temi cruciali, quelli che in una Paese normale farebbero parte dell’Agenda quotidiana delle Testate Giornalistiche, indipendentemente dal mezzo e dall’ambiente in cui la riflessione viene proposta e praticata. Essere Online oppure Offline, rispetto ad una sfida di tale portata, a mio parere, diventa un dettaglio. D’altra parte ogni mezzo è utile per provare a vincerla.

Spero di poter essere presente ad uno degli incontri Slow e…di non farmi beccare mentre twitto 🙂

ma @edicolaitaliana cos’è?

 

Io ho capito che Edicola Italiana è solo una conversione digitale, non una versione sociale, dei quotidiani italiani degli editori del Consorzio (Gruppo Caltagirone, Gruppo Sole 24 Ore, Gruppo Editoriale L’Espresso, La Stampa, Mondadori e RCS MediaGroup).

Davvero questa è la declinazione del cambiamento di cui l’ecosistema informativo italiano ha bisogno? E, se la vogliamo mettere sul piano del Business, è davvero questo il Sacro Graal che rialzerà i profitti delle Imprese Editoriali?

Ma forse ho capito male!

Welcome to @reportedly! (cit.)

Reported.ly

There are robust, informed conversations taking place online every day, around the world — and too often, these conversations are ignored by the media in favor of their own coverage.

That’s where reported.ly comes in. We’re an international team of journalists with literally dozens of years’ worth of combined experience as online community organizers, storytellers and curators. We don’t try to send people away from their favorite online communities just to rack up pageviews. We take pride in being active, engaged members of Twitter, Facebook, reddit — no better than anyone else there. We want to tell stories from around the world, serving these online communities as our primary platforms for reporting — not secondary to some website or app. Forget native advertising — we want to produce native journalism for social media communities, in conjunction with members of those communities.

Some of the most compelling news stories around the world emerge directly from social media. We want to earn your trust to be your guide, helping you navigating the never-ending stream of rumors and footage and get a better sense of what is actually happening. And we’ll never bullshit you, stalling for time while we wait to learn everything — we commit to being upfront of what we know, what we don’t know, and why.

This is Andy Carvin, Editor-In-Chief and founder of Reported.ly(1)(2), new journalistic subject (this definition is mine) that seems to be very promising for a number of very good reasons: I see an Information&Knowledge-related Marketing, rather than a Reader-related Marketing; it appears to offer a path to discover and give meaning to what happens, rather than a ready-made product; the target is the citizen (i.e. the one who writes, the one ho reads, and the mediator. Everyone!), not only the reader; the object is what is important, rather that what is interesting (for the reader).

My concerns are related to the way each single contributions (given by the one who writes, the one ho reads, and the mediator) will be valued. In a certain way, my concern relates to the Business Model.

(1) This is the team of Reported.ly.
(2) Good luck to Marina Petrillo, the (italian) East Coast producer at reported.ly.

l’Impresa Editoriale con Finalità Sociali esiste!

Media Development Investment Fund

Qualsiasi autorità o istituzione può impostare e declinare l’agenda dei contenuti creando una dipendenza da chi fornisce i finanziamenti. Questo impedisce un giornalismo obbiettivo e la condivisione di informazioni accurate.

Il Media Development Investment Fund (MDIF), un fondo di investimento sociale che offre finanziamenti accessibili ai media indipendenti, è la risposta che Sasa Vucinic, giornalista di Belgrado ha trovato per questo problema (via1).

Come si evince dal sito di Ashoka, network mondiale di imprenditori sociali, i prestiti effettuati dal MDLF hanno un tasso di restituzione del 97%. L’iniziativa di Vucinic, proprio in virtù di questo eccezionale 97%, è la prova che il modello d’Impresa Editoriale con finalità sociali alla Yunus2 (unico modello finanziabile dallo Stato, secondo una delle tante ipotesi che faccio nel mio lavoro) funziona.

1LSDI riporta il vecchio nome, MDLF, Media Development Loan Fund. A Gennaio dello scorso anno, però, come risulta dal sito, c’è stato un rebranding.

2Ad essere rigorosi Yunus predica un modello che non sia “a profitto” ma l’esperienza di Sasa Vucinic è davvero incoraggiante.

Futuro del Giornalismo – il Dibattito Continua

Dopo qualche tempo sembrano davvero tornati alla ribalta i temi del futuro del giornalismo. C’è da augurarsi che sia la volta buona.

LSDI ha collezionato diversi pareri che i vari Jarvis, Zambardino, Tedeschini Lalli, Piccinini e altri hanno pubblicato nei rispettivi spazi online. Sono più che d’accordo con il principio secondo cui nel dibattito “andrebbero coinvolti direttamente gli ex-lettori, i cittadini, cercando cioè di andare oltre i soliti addetti ai lavori…altrimenti siamo sempre punto e daccapo, no?”; per questo, vincendo il forte senso di inadeguatezza che provo nel vedermi accostato a questi nomi, mi candido – da non addetto ai lavori – a cittadino che vuole partecipare.

Oltre al mio lavoro di ricerca #1news2cents (qui la quarta di copertina), la mia partecipazione è fatta anche di commenti e risposte che provo a fare e a dare su una meteria che, molto semplicemente, da cittadino, mi affascina.

Io guardo nella mia sfera di...plastica :)

La scorsa settimana proprio LSDI mi ha dato l’opportunità di pubblicare una sintesi del mio lavoro che ha preso spunto dai cinque articoli della ricerca del professore americano Jarvis sul giornalismo. Ringrazio Bernardo Parrella per le questioni che (mi) ha posto nei commenti. Qui appresso cerco di rispondere.

1. Comunità Online

I dubbi sono gli stessi che ho io. Le domande identiche a quelle che mi pongo io. Il problema è nell’assenza di partnership tra cittadini/lettori e editori? Io ho affrontato il problema partendo da una ipotesi: l’informazione online è, a tutti gli effetti, un Bene Comune e, in quanto tale, è sicuramente un “bene pagante”; ma – perché nei cittadini ci sia la percezione che le cose stiano davvero così – occorre un artificio legislativo (questo il concetto espresso da Ugo Mattei nel contributo ad una illuminante raccolta di Paolo Cacciari, “La società dei beni comuni”, per me prezioso punto di riferimento). Qual è un possibile artificio? Nella mia ricerca propongo che ci sia il riconoscimento di un “reddito” a chi partecipa alle discussioni online in modo che si stabilisca una partnership (tra distributore di contenuto e lettore) nell’ambito di un quadro più complesso che contempla il finanziamento pubblico.

2. Grandi Testate

Ho iniziato il mio lavoro facendo due ipotesi, basate sull’analisi di parametri che solitamente non vengono presi in considerazione (qui il post pubblicato parecchio tempo fa nel mio blog-laboratorio con le mie considerazioni. Ma magari nel frattempo gli scenari sono cambiati): (1) le grandi testate (quelle nazionali), devono smettere le pubblicazioni cartacee; (2) le testate ultralocali hanno senso solo su carta. #1news2cents è una ricerca che riguarda le prime ma non perché non mi preoccupi delle seconde.

3. Finanziamento

La mia è una visione prettamente politica che vuole promuovere non tanto un “modello di business” (che è inevitabilmente il modello degli Editori), ma un “modello sociale” (che, invece, guarda ai benefici di un giornalismo funzionale alla crescita: e.g. No gossip! Si cultura!).

C’è un po’ di #1news2cents in giro!

“Adesso che la tua Internet ha rovinato l’informazione, che si fa?” Questo si è chiesto Jeff Jarvis.
La risposta è una indagine sulle relazioni, le forme e i modelli di business di tipo nuovo per il giornalismo che diventerà un saggio, in uscita a Ottobre: “Nessuna previsione per il giornalismo”, dice Jarvis, ma soltanto una ricerca di opportunità possibili.

Jarvis ha pubblicato su Medium.com la parte iniziale del saggio, divisa in cinque articoli tutti da leggere, e concesso al gruppo di lavoro di LSDI di divulgarne la traduzione in italiano. Poi Pino Rea, di LSDI, ha concesso a me di esporre in libertà le affinità tra le riflessioni di Jarvis (sul compito di educatore del giornalista e del ruolo social del giornalismo, nell’ultimo pezzo di Medium.com e tradotto qui) e le conclusioni presenti nel mio #1news2cents.

Buona lettura!

Un grazie molto sentito a Pino Rea e a LSDI.

Il ruolo Sociale del Giornalista

 

Percorrendo le Cinque Direttrici

La scommessa fondamentale è che di notizie c’è sempre più bisogno e quindi c’è un’industria in crescita, potenzialmente, da qualche parte. Ma va pensata. E può diventare il luogo economico nel quale si sviluppano anche le competenze acquisite dalla vecchia editoria.

Così Luca De Biase, prendendo spunto dalla ricerca condotta da Marc Andreessen, inizia una riflessione in cui individua cinque direttrici su cui, dice ancora De Biase, avanza e si sviluppa il dibattito sull’industria dell’informazione. Su ciascuna di esse mi piace condividere le mie riflessioni/proposte (meglio sostanziate nel mio lavoro)

  • Tecnologia: Forse nei ragionamenti è dato per scontato, ma ritengo utile ribadire che è essenziale che tutti dispongano della tecnologia. Per me, quindi, parlare di tecnologia, vuol dire in primo luogo superare il divario digitale (la proposta che faccio è di modificare l’articolo 21 della nostra Costituzione)
  • Partecipazione dei lettori attivi alla produzione di informazione: se i contenuti prodotti sono di qualità (alla qualità dedico un intero capitolo del mio lavoro), la partecipazione dei lettori deve essere premiata. Un esperimento da tenere sott’occhio è quello di Etalia.
  • Dimensione social: come per il punto precedente, deve essere pensato un meccanismo di ricompensa. Il modello che propongo prevede la ricompensa (in crediti spendibili per l’acquisto di nuove notizie) per chiunque condivida l’articolo sulle piattaforme sociali e che ne stimoli ulteriormente l’acquisto da parte di altri lettori.
  • La pubblicità: la (mia) premessa è che la pubblicità squalifica il contenuto informativo. La (mia) idea, quindi, è rivederne l’oggetto. Detto in altri termini: una pubblicità ammissibile e che non degrada la qualità della testata è la pubblicità che fa notizia sociale, che segnala iniziative, prodotti, eventi in linea con l’obiettivo sociale dell’Impresa Editoriale (vedi punto successivo) che distribuisce il contenuto.
  • Forme di finanziamento alternative: La mia proposta è abbastanza traumatica: il finanziamento deve essere pubblico e deve spettare per legge soltanto alle Imprese che abbiano finalità sociali e che, inoltre, mettano da parte la logica del profitto (pericolosa quando gli interessi dei proprietari pesano sulle scelte delle Informazioni da dare e, soprattutto, da non dare) reinvestendo il proprio surplus esclusivamente nel miglioramento del proprio servizio (Imprese alla Yunus).

Due Riflessioni sul nuovo @Libero_official

Pare che Libero si sia [ri]fatto il trucco. L’analisi approfondita la fa Pier Luca Santoro nella sua nuova casa di Datamediahub (in bocca al lupo anche da qui!). Io mi soffermo su un paio di aspetti tra quelli evidenziati da Maurizio Belpietro nella sua intervista:

Libero

  1. “Vogliamo crescere, la pubblicitaà scarseggia soprattutto la cartacea. Anticipando un ciclo economico, possiamo garantire all’inserszionista il ritorno del suo investimento perché sapranno che il loro messagio raggiungerà davvero il lettore.”
  2. “Ai lettori diciamo di fare i reporter per noi. Il giornale potrà essere impaginato come si vuole e ogni lettore potrà anche contribuire a crearlo.”

A me il discorso che si fa sulle inserzioni pubblicitarie fa sempre un po’ paura perché immagino il lettore/utente come una vittima più o meno consapevole di messaggi che, con una visione sicuramente integralista, tendo sempre a considerare ingannevoli. E’ questa la ragione che, nella definizione di qualità del contenuto, nel lavoro #1news2cents, mi porta a dire che un contenuto è tanto più di qualità quanto più bassa è la concentrazione di inserzioni pubblicitarie nella Piattaforma/Testata che pubblica la notizia. Tuttavia ritengo che ci possano essere delle forme ammissibili di inserzioni: una pubblicità ammissibile e che non degrada la qualità della testata è la pubblicità che fa notizia sociale, che segnala iniziative, prodotti, eventi in linea con l’obiettivo sociale dell’Impresa Editoriale che distribuisce il contenuto. [L’Impresa Editoriale con Finalità Sociali, alla Yunus (nessun profitto ed eventuale surplus reinvestito in competenze e tecnologie) è la tipoligia di Impresa che sostengo avere i requisiti di accesso al finanziamento pubblico secondo il meccanismo spiegato nel mio libro].

Andiamo al secondo punto. Bene l’idea di coinvolgere il lettore, di renderlo reporter. Bello pensare che, proprio grazie a questi contributi, il quotidiano possa guadagnare valore e le notizie possano acquistare senso. Ma esiste una ricompensa per i lettori? Nel mio modello la ricompensa viene riconosciuta per la condivisione attiva (nel senso che stimola a sua volta la circolazione); cosa prevedere addirittura per la generazione di contenuti?