(ancora) proposte legislative per la realizzazione del Modello Sociale per l’Editoria #1news2cents

Copertina

Domani, martedì 18 Aprile, nell’ambito del  laboratorio “Strategie e strumenti per orientarsi in modo consapevole nel web” tenuto da Marco Renzi (giornalista professionista e Presidente di LSDI), del corso di Laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Perugia, cercheremo di fare qualche passo in avanti rispetto alle prime proposte legislative formalizzate a Roma lo scorso Febbraio.

Ho preparato delle slide (in cui in giallo ho evidenziato le parti nuove rispetto a Roma) e un fascicolo di lavoro con i riferimenti bibliografici e legislativi che distribuiremo a lezione. L’obiettivo è di stimolare ricerca anche a livello Universitario su un Modello nel quale l’Associazione LSDI, che ringrazio ancora una volta per la fiducia, crede molto.

Queste le slide.

Questo il fascicolo.

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un Modello Sociale dell’Informazione ai tempi dei BitCoin #RosaDigitale @DigitaleRosa

Domani, in occasione di uno dei tantissimi appuntamenti di #RosaDigitale, riprendendo gli argomenti di #digit14, cercherò di fare uscire dalle nicchie gli argomenti che stanno alla base del mio lavoro di ricerca,

Quello a Prato, nell’Ottobre del 2014, fu un pomeriggio molto interessante perché gli amici di LSDI combinarono #1news2cents con gli argomenti che Gabriele De Palma aveva spiegato nel suo “Affare Bitcoin. Pagare col p2p e senza barriere centrali”.

Queste sono le slide che ho preparato, che mi auguro potranno interessare i presenti.

#digitRoma – proposte legislative per la realizzazione del Modello Sociale per l’Editoria #1news2cents

Presentazione_Logo

Domani, a Roma, nella sede della Federazione Nazionale della Stampa, c’è la tappa del festival dedicato al giornalismo digitale, #digitRoma. (1)

Insieme con l’Associazione LSDI, Libertà di Stampa e Diritto all’Informazione, presenteremo le proposte di modifica di leggi esistenti e di nuove leggi con le quali il modello elaborato nel mio lavoro di ricerca diventerebbe operativo.

E’ una occasione unica. Ringrazio l’Associazione LSDI per aver creduto nel mio lavoro.

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(1) Nei giorni che hanno preceduto questo importante appuntamento, sulle pagine di LSDI ho pubblicato alcuni articoli di presentazione dell’impianto teorico del modello:
Presentazione generale: Fiducia, giornali, capitale sociale e altri accidenti

Questi invece gli articoli sui temi specifici del modello:
(1) Il Capitale Sociale
(2) Il ruolo dello Stato
(3) Contenuti, qualità, finanziamenti
(4) Il modello di impresa editoriale
(5) Quanto vale una notizia?

Capitale Umano, Capitale Sociale e Modello Sociale per il Giornalismo

il-capitale-umano-bruno-vettore-realtortv

Nel 2010 Amartya Sen, Jean-Paul Fitoussi e Joseph Stiglitz pubblicarono “La misura sbagliata delle nostre vite”, una ricerca che dimostrava, su basi non soltanto teoriche, come il PIL non potesse essere più considerato come misura del benessere e del progresso sociale.

Nel 2014 Luca Ricolfi, ne “L’Enigma della Crescita”, elaborò una formula che esprimeva il tasso di crescita basandosi sui dati disponibili nel periodo 1995-2007 per le nazioni OCSE: questa formula esprimeva la forte dipendenza del tasso di crescita dal “Capitale Umano”.

Oggi, in “Crossroads” di Nòva 24, Luca De Biase dice: “secondo la Banca Mondiale il valore del capitale umano equivale ai due terzi della ricchezza dell’umanità e ne spiega il futuro benessere meglio di molte altre variabili.”

Un filone, quindi, aperto da diversi anni. Un filone di ricerca che, però, non ha mai considerato abbastanza un altro parametro, il Capitale Sociale.(1)

Cosa c’entra tutto questo con il Modello Sociale per l’Editoria di #1news2cents?

Qualche punto di premessa:

  • se è vero, come oggi ricorda Luca De Biase, che “l’educazione, l’istruzione, la crescita della conoscenza, la ricerca sono le forme di investimento che generano un aumento del capitale umano e che producono la maggiore crescita della ricchezza nel lungo termine”;
  • se è condivisa l’ipotesi secondo cui la conoscenza – e gli elementi che da essa sono generati – è questione di condivisione in una rete sociale, che più grande è meglio è, nel senso che nessuno è capace di costruirla per sé, da sé;
  • se si ammette che i giornalisti hanno il ruolo sociale di contribuire, con la loro professionalità, alla generazione di senso (cioè di conoscenza) dei fatti nella rete in cui operano;
  • se, quindi, per la creazione di Capitale Umano è necessario (certo, non sufficiente) il lavoro giornalistico;

dovrebbe apparire scontata l’urgenza di realizzare un Modello che lavori per aumentare l’incidenza del Capitale Sociale nel tasso di crescita. Un Modello che – evidentemente – non può che essere un Modello Sociale.

Non deve sfuggire che la ricerca di Ricolfi è una fotografia del periodo 1995-2007 (in cui, come ricordato, il Capitale Sociale, ebbe una incidenza molto marginale sul tasso di crescita), mentre il Modello Sociale che auspico per l’Editoria è un programma di lungo periodo che, se portato a compimento, avrebbe una equazione del tasso di crescita con coefficienti (se non anche parametri) differenti da quelli elaborati dal sociologo Torinese(2).

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(1) In effetti Ricolfi, nel suo trattato, ammetteva di non averlo considerato; e non lo aveva considerato per un motivo ben preciso: l’analisi dei dati aveva dimostrato che il Capitale Sociale aveva avuto, nel periodo osservato, un impatto trascurabile sul tasso di crescita.
(2) Nel Modello che ho elaborato la quantità e la grana di Capitale Sociale circolante è la misura del valore del lavoro giornalistico.

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Da “Il Capitale Umano” di Paolo Virzì: L’assicurazione dell’auto di Massimiliano ha negoziato con i familiari di Fabrizio Lupo, vittima dell’incidente, un risarcimento di €218.976,00.
Importi come questo vengono calcolati valutando parametri specifici: l’aspettativa di vita di una persona, l’ansia potenzialità di guadagno, la quantità e la qualità dei suoi legami affettivi.
I periti assicurativi lo chiamano “il capitale umano

DIKW

L’impianto teorico del modello sociale per l’editoria formulato in #1news2cents comprende lo schema WIKiD, acronimo di Wisdom, Innovation, Knowledge, Information e Data, elementi del Capitalismo Sociale secondo la visione di Dan Robles. Il WIKiD formulato Dan Robles nel 2010 era uno schema predittivo(1): diceva infatti Robles:

We can say that each new era was derived from the prior era by integrating the tools developed during the prior era. We have seen the data economy in the industrial revolution, we have seen the information economy with Invention of the Integrated Circuit, We are in the midst of the knowledge economy with the advent of the Internet.

Confesso, però, di aver tradito la natura predittiva del WIKiD di Robles per prenderne l’aspetto che, nei tempi in cui facevo le mie primissime ricerche, più mi aiutava a schematizzare il ragionamento: il WIKiD, infatti, mi si presentò davanti come una naturale espansione di quello di Choo, Detlor e Turnbull (Figura 1), che avevo conosciuto due anni prima, nel 2008, grazie al libro“Il marketing dell’informazione e della conoscenza” di Michele Rosco (il libro è del 2003).

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Figura 1(1): The Data-Information-Knowledge Contiuum – lo schema di Choo, Detlor e Turnbull

Così poi, (come dicevo: naturalmente) venne fuori lo schema WIKiD (Figura 2): grazie alle potenzialità sempre più evolute del Web in termini di organizzazione degli elementi (Data, Information e Knowledge) e alle accresciute capacità dell’uomo (che, proprio grazie al Web, poteva entrare in contatto con una platea più ampia, qualificando anche il Capitale Sociale delle relazioni), dalla Conoscenza (Knowledge) si poteva arrivare all’Innovazione (Innovation) e, attraverso essa, alla Saggezza (Wisdom, che ho poi sempre preferito chiamare Benessere).

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Figura 2: evoluzione dello schema di Choo, Detlor e Turnbull: schema WIKiD

Ulteriori ricerche mi hanno portato, recentemente (molto dopo la pubblicazione di #1new2cents), alla scoperta della “Piramide DIKW” (essendo DIKW l’acronimo di Data, Information, Knowledge e Wisdom, Figura 3 e Figura 4, da Wikipedia), utilizzata per rappresentare le presunte relazioni (traduco da Wikipedia) tra dati, informazioni, conoscenza e saggezza.

Le pubblicazioni citate su Wikipedia alla voce DIKW sono del 2006: tre anni dopo, per riassumere, la pubblicazione dello schema di Choo, Detlor e Turnbull sul testo di Rosco (che è del 2003) e quattro anni prima il WIKiD di Robles (del 2010) che, rispetto alla piramide, aggiungeva l’elemento “Innovazione”. Su questi temi lavoro dal 2008.

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Figura 3(1): Un possibile diagramma di flusso della gerarchia DIKW

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Figura 4: Adattamento della Piramide DIKW dei Knowledge Managers della US Army

Questo post vuole essere, oltre che un richiamo al lavoro già svolto, un punto di partenza per eventuali sviluppi futuri.

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(1) L’aspetto predittivo è molto interessante. Dice Dan Robles: “Looking far far into the future, we can predict that the wisdom economy will emerge from an integration of tools developed in the innovation economy. The wisdom economy – with or without the current financial system – will have the greatest likelihood of achieving a sustainable human presence on Earth. Consequently, failure to achieve the wisdom economy presents an equally predictable outcome.” Anche voi pensate all’Intelligenza Artificiale?

(misure di) impatto sociale dell’informazione di qualità

Cosa ha generato il racconto di qualità di un fatto? Cosa sarebbe successo se su quel fatto non vi fosse stata una copertura giornalistica di qualità? Sarebbe molto interessante e utile valutare l’impatto sociale reale dell’informazione di qualità; per esempio iniziando col rispondere a queste due semplicissime domande.

Il sito mediadiqualita.it offre uno spunto di riflessione: vi si possono infatti rintracciare delle storie che raccontano il positivo impatto dei programmi TV, radio e online delle emittenti dello European Broadcasting Union (che ha promosso la campagna “Media di Qualità”) sulle persone.

Ne ho prese un paio, tra quelle per me più emblematiche: la storia di Nora, diventata volontaria per i malati di Alzheimer e quella di Raymond che ha organizzato una mensa per poveri. Ascoltando queste storie ho pensato anche all’effetto positivo che, attraverso le azioni di Nora e Raymond, quei servizi giornalistici hanno prodotto su chi da tali azioni ha tratto beneficio.

 

 

Cos’è l’informazione di qualità, quindi? Si potrebbe rispondere dicendo che l’informazione di qualità è quella che ha un impatto sociale positivo, che fa (fare) del bene alla società.

ci penso io

C’è un passo del mio lavoro di ricerca che, riletto oggi, potrebbe suonare davvero male. Si tratta dell’introduzione del capitolo in cui cercavo di spiegare cosa intendevo (e intendo tuttora, per quanto in quattro anni ho maturato qualche altra idea) per “Informazione di Qualità”.

La definizione proposta è: l’informazione si definisce di Qualità se la somma dei punteggi assegnati ad uno specifico set di attributi, opportunamente pesati, supera un’assegnata soglia. L’attuazione del Modello dovrebbe, quindi, prevedere un meccanismo di rating che, assegnando i punteggi ai singoli attributi e stabilendo, così, se il Contenuto Online è di qualità, ne decreterebbe automaticamente l’idoneità all’accesso al finanziamento ovvero lo stato di “acquistabile online” con il microcredito giornaliero concesso dallo Stato ad ogni Cittadino.

Dopo la definizione, il “passo critico” arriva qualche riga più avanti, sul meccanismo di rating:

…non essendo possibile valutare la qualità di ogni singola Unità Informativa in tempo reale nel momento in cui viene messa in vendita dalla Testata, si ipotizza l’implementazione di un rating periodico (ad esempio su base mensile o trimestrale) delle Testate (o di sezioni di esse). Il risultato del rating periodico stabilirebbe che, per il mese o per il trimestre di validità dello stesso, gli articoli prodotti e messi in vendita dalla data Testata Giornalistica Online, sono di Qualità (nel senso che verrà chiarito nei prossimi Paragrafi) e, quindi, possono essere acquistati dai Cittadini con il microcredito concesso dallo Stato.

Ogni segnalazione dei Cittadini di Contenuti non di Qualità (il criterio di rating è open e, quindi, utilizzabile da ciascun lettore per una valutazione soggettiva), vagliati da un organismo creato ad hoc, potrebbe poi generare delle sanzioni (divieto di accesso al finanziamento previsto dal Modello Fotovoltaico, pagamento di multe, risarcimenti ai Cittadini, etc) per le Testate responsabili della pubblicazione di Contenuti non di Qualità.

Per quanto quelli che avevo individuato fossero degli attributi molto neutri e oggettivi (nel senso che la loro valutazione non prevede alcun giudizio personale sul merito del contenuto: Tipologia del contenuto, Professionalità, Pluralismo, Accessibilità, Pubblicità, Interoperabilità e Completezza, i sette attributi per l’appunto, quelli sono, c’è poco da inventare), evidentemente non mi ero reso conto di quanto pericoloso fosse buttare dentro il ragionamento e, peggio ancora, in un libro sul giornalismo, un fantomatico “organismo creato ad hoc”. Se mi fossi trovato a scrivere questo passo oggi  sicuramente sarei stato più attento.

Dovevo togliermi questo peso (e così prendermi anche un impegno).

L’occasione è stata la prima pagina de “il Fatto Quotidiano” di oggi in cui Marco Travaglio, con lo stesso paternalismo che si sarebbe potuto attribuire a me quattro anni fa (un po’ a ragione, un po’ a torto) quando prevedevo “l’organismo” di valutazione di qualità dei contenuti e con le stesse sicurezze che la Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini ostenta nel parlare del progetto #BastaBufale, presenta il servizio “Vero o Falso” (Ogni giorno un fatto in più e una bugia in meno per “votare informati”, si legge).

Una riflessione.

aaaSi leggeva così su Valigia Blu un paio di mesi fa:

L’aspetto più ironico di tutto questo è che la comunità che è rimasta nella piattaforma maggiormente aderente alla realtà (il Fatto Quotidiano, per parlare della casa accogliente che Travaglio starebbe preparando per i suoi lettori: l’uso dei termini, poi, è alquanto indicativo: si vogliono riempire vasi più che accendere fuochi), libera dalla disinformazione, finirà per essere il gruppo più danneggiato. So che può sembrare privo di senso, ma seguite il mio ragionamento. Le persone intelligenti, quelle che sanno che la scienza è il metodo migliore per comprendere l’universo e che la prova è importante, quelle persone rimarranno intrappolate in una camera dell’eco che eliminerà la necessità di un pensiero critico.

Così, sempre su Valigia Blu, si dice dell’iniziativa cara alla Presidente Boldrini:

Per ora, è stato pubblicato un manifesto che poco fa capire di come saranno organizzati i corsi di alfabetizzazione alle notizie, ma che tradisce una certa distanza dalla cultura della Rete e che focalizza i suoi obiettivi più su come smascherare (e non diffondere) le false informazioni che sulla maturazione di un pensiero critico rispetto a tutto quello che leggiamo, indipendente da fonte e mezzo.

Lo scenario è davvero inquietante e la pagina di Marco Travaglio di oggi è la dimostrazione di quello che potrebbe succedere se a garanzia dei lettori vi fosse un’autorità ben più “potente e centrale” di un direttore/editore di un singolo quotidiano.

Io continuo comunque a pensare che, cito nuovamente da #1news2cents, “sarebbe interessante sperimentare un percorso di consapevolezza del lettore sul livello qualitativo di ciò che si legge, rendendo ad esempio disponibile un‘applicazione sul browser o un pulsante in coda all’articolo per assegnare un punteggio di qualità dell’articolo” che consideri gli attributi che avevo definito nel mio lavoro di ricerca”. Che era e continua ad essere l’obiettivo del mio lavoro: mettere a disposizione dei lettori un metodo che stimoli il pensiero critico e che non deleghi a nessuno se non a sé la scelta consapevole delle proprie fonti di informazione e conoscenza.

Quale moneta di scambio? (via @lsdi)

Ho dedicato qualche anno alla ricerca di un modello (Sociale più che di Business (*)) di un nuovo ecosistema informativo convinto che la questione riguardasse tutti i cittadini (al netto delle competenze professionali, infatti, mettevo e metto tutti sullo stesso piano: editori, giornalisti e lettori. Tutti cittadini, per l’appunto) e guidato dalla certezza (che era di allora ed ancora di più è di adesso) che la sostenibilità sociale portasse vantaggi a chiunque.

La conclusione è questa: il patrimonio delle relazioni (cioè il capitale sociale, la mutua fiducia) che si accumula durante le conversazioni stimolate da un articolo giornalistico (contenuto), che è la misura della qualità del lavoro giornalistico, ha un equivalente economico. Questo equivalente economico è il prezzo da pagare per un contenuto di qualità per ricompensare il giornalista e, per mezzo del lavoro giornalistico (che è guida di scelte consapevoli della vita quotidiana), anche il lettore.

Mi rinfranca leggere di modelli a pagamento” e di “moneta di scambio rappresentata dalla fiducia dei lettori e dalla possibilità di  condurli all’interno della conversazione” .

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(*) Il Modello di Business è, troppo spesso, quello che riguarda gli interessi solo di una piccola parte dell’ecosistema informativo; il Modello Sociale è quello che le comprende tutte e pone davvero al centro il lettore.

ci vuole un Ponte

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«Ma questo insieme di architetture automatiche – fatto di “bolle”, frammentato, e dovuto al passaggio al digitale – che effetti ha sul cervello umano? La scienza, sull’argomento, sembra dividersi, e non dire molto di definitivo», chiede Fabio Chiusi.
«L’impressione è che l’impatto del digitale sulla cognizione umana non sia affatto chiaro ai neuroscenziati che lo studiano», risponde Luciano Floridi, filosofo dell’Oxford Internet Institute.

Questo, per me, il passaggio più importante dello speciale de L’Espresso, “Carta Vince”, con cui il settimanale si rilancia. Passaggio importante perché mi pare un modo (l’unico?) di fare incontrare, in nome del buon senso che serve per analizzare la complessità delle cose, chi si esalta per la rinascita della carta e chi reagisce sdegnato a una difesa – quella della della carta, per l’appunto – che, c’è da ammetterlo, sembra spesso ideologica: è debole infatti l’argomento dei dati di calo di vendita degli e-book negli Stati Uniti (Sabina Minardi); debole, ormai, la difesa dell’industria tipografica in quanto tale (Raffaele Simone); debole parlare ancora dei banner sui siti web (Davide Crepaldi). Da Davide Crepaldi, professore di Neuroscienze Cognitive alla Sissa di Trieste, viene forse l’argomento più forte: «E’ stato rilevato – dice – che la memoria e la comprensione di un testo sono migliori se il contenuto è letto su carta anziché su tablet o computer» (poi, però, nella mia testa torna il dubbio instillato da Floridi). Ciò che, però, meno mi piace di questa linea difensiva è il suo fare perno soprattutto sulla tecnologia (il titolo dello speciale e la stessa copertina de L’Espresso, “Scusate se il futuro è di carta”, mi sembrano sufficientemente emblematici).

Ma non è che chi si sdegna sia più credibile: gli argomenti, tra quelli espressi a caldo (L’Espresso esce la domenica), sono sembrati – molto banalmente e, ho visto, anche volgarmente – di chi è dall’altra parte della barricata a difendere la “tecnologia antagonista”, il benedetto digitale.

La situazione è molto più complessa, ça va sans dire, e riguarda, oltre che gli operatori del settore (editori, autori, giornalisti), anche e soprattutto i cittadini . E, considerato che in gioco vi è una forte responsabilità sociale (dei primi nei confronti dei secondi), non si può ridurre e pensare di risolvere tutto in una disputa tecnologica.

Ma è difficile fare un ponte tra chi vede nell’altro una minaccia invece che un’opportunità, per parlare di modelli di business. Impossibile partire se l’unico sforzo che si chiede al legislatore è la «detrazione delle imposte sul reddito delle persone fisiche per gli acquisti di libri, quotidiani e periodici», per parlare di modelli sociali.

Già, i modelli sociali.

la filter bubble delle notizie tribali

La convinzione di fondo è questa: la tecnologia non ci rende stupidi. Erode distanze mentali, potenzia le occasioni di conoscenza e aumenta la portata delle informazioni (giuste o sbagliate) all’interno di reti di relazione. E proprio in questo senso ha a che fare con la verità. Nel bene e nel male. E lo scopo di una rivista di cultura oggi è proprio quello di inserirsi nello sciame eccitato per interrompere il flusso e il reflusso, strutturando un discorso discreto, dialogico, chiaro, capace di bucare la filter bubble delle notizie tribali.

Così conclude un intervento su Nòva24, “Corsi e ricorsi di post-verità”, Antonio Spadaro, Direttore de La Civiltà Cattolica.

Il Mondo Cattolico, l’Ecosistema Informativo e la Filter Bubble: ambiti che ritrovo legati dopo la positiva esperienza di #digit15. Allora, insieme con la Professoressa Rita Marchetti e gli argomenti del suo interessantissimo lavoro, “La Chiesta e Internet”, avevamo trattato il tema della Filter Bubble e fatto qualche considerazione per neutralizzare i suoi effetti distorcenti i percorsi congnitivi. Di quella giornata mi piace riprendere una raccomandazione, evidentemente attualissima: il Giornalista deve diventare un Sacerdote della Notizia.