Qualità dell’Informazione: Oggettiva o Soggettiva?

“Non tutte le notizie meritano di essere pagate perché non tutte le notizie hanno un valore”. E poi: “La checklist con i sette attributi che hai definito per stabilire se l’informazione è di qualità non mi piace: ognuno dovrebbe avere la propria”; più nel merito: “Perché solo l’informazione politica è di qualità?”. E ancora: “Facebook e BitCoin non sono piattaforme uguali”.

Queste sono le più spigolose e utili osservazioni su #1news2cents venute fuori a Dig.it, nel dibattito in cui ci siamo ritrovati insieme con Robin Good, Vittorio Pasteris e Gabriele De Palma a parlare di “Giornalismo, pagamenti & rete: come rifondare l’economia del comparto editoriale grazie ai bitcoin e dintorni…”. Osservazioni che, è evidente, hanno riguardato tanto gli aspetti tecnologico-implementativi, quanto quelli di principio del modello.

 

Durante il dibattito a Dig.it

La questione tecnologica è scontata, almeno per il momento: Facebook e BitCoin non sono la stessa cosa; non è pensabile, quindi, usare un network “Facebook-like” (che permetta, cioè, la condivisione e la discussione delle notizie) in cui circoli moneta secondo la filosofia e il meccanismo previsti da BitCoin. Chi li metterà mai d’accordo Mark Zuckerberg e Satoshi Nakamoto?

La questione teorica, è – se possibile – più complicata: intanto è lampante la critica emersa sulla definizione che propongo di qualità dell’informazione: la qualità non può essere una caratteristica oggettiva, intrinseca, dell’unità informativa; essa è, invece, un fattore oggettivo perché ciò che per uno ha valore, non è detto che lo abbia per un altro.
Alle parole dette a caldo, ne vorrei aggiungere delle altre.
Nel sostenere che soltanto una buona informazione e una buona discussione sulle piattaforme sociali online conducono al benessere, nel mio lavoro ho escluso che il benessere sia quello derivante dalla presa in giro al tifoso della squadra avversaria in coda ad un articolo sportivo o dal prurito che va via con la foto del vip al sole col suo ultimo flirt. Ora, dire che la qualità è soggettiva, significa ammettere che il benessere è, molto più semplicemente, “ciò che fa stare bene”; non, quindi, soltanto la propria sensibilità che cresce nel discutere di un’opera lirica o di un affresco, o la serenità di aver fatto il proprio dovere di cittadino non votando quel politico che ci si è “informati” essere un delinquente, etc…
E’ una tesi che non mi convince perchè – ma posso aver capito male – è troppo “orientata al mercato”; il punto di vista di un Luca De Biase di un paio d’anni fa – che poi è anche la risposta che sento di dare – può aiutare a capire: “inseguendo le reazioni immediate del pubblico si rischia di sottovalutare le cose importanti a favore delle cose interessanti”. Si, c’è da definire cos’è importante (l’affresco?) e cos’è interessante (la vittoria di un derby?).
Se ne dovrà discutere ancora, ça va sans dire. Anche perché, me ne rendo conto, tra lo sfottò da stadio e la comprensione di un’opera d’arte c’è il mondo intero. Insomma, la questione è complessa assai!

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5 pensieri su “Qualità dell’Informazione: Oggettiva o Soggettiva?

  1. Ciao Marco, e grazie mille per queste tuo ottime riflessioni post Dig-it.

    Io credo che al giornalista del presente, spetti il ruolo di informatore specializzato per audience anche molto piccole disposte a pagare per queste informazioni, in quanto utili, in grado di fargli risparmiare tempo e, talvolta, anche capaci di apportare dei benefici tangibili anche alla sua vita personale o alla sua attività produttiva.

    Se nel mondo delle informazioni smettessimo di pensare in termini di pubblicità e di mercati di massa per farla funzionare, cosa che invece vedo essere ancora il ragionamento attuale di default, forse potremmo cominciare a capire che le alternative del futuro si muovono su argomenti di nicchia e su tribù molto ben definite (e che non corrispondono a quello che gli addetti ai lavori chiamano target), e che quindi il numero di utenti/lettori necessario per poter rendere sostenibile tali canali informativi è di diversi ordini di grandezza più piccolo di quello che noi pensiamo attualmente.

    Quindi, la paura che “inseguendo le reazioni immediate del pubblico si rischia di sottovalutare le cose importanti a favore delle cose interessanti” sembra invitare ad aprire le porte ad una possibile autorità superiore in grado di stabilire cosa è importante e utile leggere da cosa non lo è. Una specie di divinità suprema, religiosa, o un nuovo Google forse, che decida, non so quanto trasparentemente, se la lettura dell’affresco ha una valenza più alta di quella di un fatto di cronaca o di sport.

    Mi auguro che ciò non avvenga.

    Da ciò che io vedo personalmente, ci sono appassionati scrittori, giornalisti, blogger e reporter su qualsiasi argomento e, se ci focalizziamo su un interesse, un problema o un esigenza specifica, non nata semplicemente da un nostro vezzo, ma da una convergenza fra le nostre reali competenze e skill e gli interessi specifici dei nostri lettori, esiste concretamente la possibilità di alzare significativamente la qualità delle informazioni fornite, ed ancor più di soddisfare le esigenze di un numero enorme di persone (me incluso) attualmente profondamente deluse dal formato *RAI – di tutto e di più* che rappresenta ancora il veicolo più diffuso, e l’unico preso in seria considerazione, dai giornalisti e da una enorme molteplicità di media Italiani.

    It’s time for a change.

  2. Robin, grazie per il contributo che mi permette di fare e condividere un’ulteriore riflessione.
    Mi sento di condividere praticamente tutto quello che hai detto. Secondo me, però, stiamo ragionando su due piani diversi perché diverse sono le caratteristiche dei contenuti ai quali ci stiamo riferendo. Cerco di spiegarmi.
    Il primo capitolo del mio libro introduce (per chi non ne sa nulla, ovviamente!) la teoria della piramide dei bisogni di Maslow. Prima dei cinque strati noti a tutti, Maslow ha definito anche una base, una condizione essenziale di partenza, degli strumenti indispensabili di cui l’uomo dovrebbe dotarsi prima di iniziare la scalata. Tra questi strumenti c’è la conoscenza.
    Io, quando parlo di “informazione importante” penso a quella che agisce alla base della piramide; volendo schematizzare, l’informazione della quale parli tu – se ho ben inteso – interviene molto più in alto nella piramide: è una “informazione che è interessante” nel senso che, per esempio, serve per fare bene il proprio lavoro (se rimaniamo nel campo dei quotidiani mi vengono in mente testate come FT che, guarda caso, sono tra quelle che vanno meglio…).
    In un certo senso è la differenza che passa tra i libri delle scuole elementari e i testi dell’Università. Nel primo caso, quella dei contenuti, è una scelta politica (mi piace di più metterla in questo modo che parlare, invece, di autorità centrale!). Nel secondo caso credo torni alla perfezione il tuo ragionamento.
    Yes, it’s time for a change. Ma, dico io, non dimentichiamoci della scuole elementari 🙂

  3. Finchè rimandaremo ad autorità terze di qualsiasi genere la nostra educazione personale e lo sviluppo delle capacità di apprendere, verificare e scegliere ciò che più ci interessa nella vita saremo sempre schiavi di agende ed interessi altrui.

    N.B.: La conoscenza (intesa come informazione immediatamente applicabile alla realtà e non come “sapere di una certa cosa avendola letta e memorizzata”) infatti non è apprendibile ne a scuola ne all’università, tranne in rarissime eccezioni.

  4. Ecco, io credo che l’interesse di cui dobbiamo parlare non sia quello “altrui”, bensì il “nostro” inteso come interesse di una comunità. Per tornare al discorso di Maslow, direi che sia “nostro” interesse costruirci una base comune (vogliamo chiamarla cultura?).

    Sulla conoscenza c’è un’altra sezione del libro: propongo uno schema (ripreso da altri e adattato per schematizzare il mio ragionamento) nel quale ciò che tu chiami “conoscenza come informazione applicabile alla realtà” è definito come “innovazione”, intesa come qualcosa di tangibile. E quindi si, credo tu abbia ragione quando dici che non si apprende a scuola o all’Università. D’altra parte il parallelismo tra scuola e università che facevo era per farmi capire.

  5. Pingback: Conoscenza per Interesse e per Importanza | #1news2cents la Qualità Costa. un Modello Sociale per l'Editoria (Online)

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