Uno degli elementi a sostegno del modello sociale di editoria che propongo nella mia ricerca è lo schema WIKiD, che spiega in che modo l’elemento informativo può produrre benessere (io faccio sempre l’esempio della politica: un ecosistema informativo che funziona dovrebbe mettere ogni cittadino nelle condizioni di fare la scelta più consapevole possibile quando si reca al seggio elettorale!) attraverso l’azione tecnologica e l’azione umana.
La prima azione si declina nel rendere disponibile la Rete Internet (a partire dal layer fisico); la seconda è il lavoro del giornalista (che, sul layer fisico, utilizza le applicazioni) e la qualità del lavoro che fa (sulla qualità c’è un dibattito aperto che presto riprenderà).
Lo schema WIKiD, mostrato in figura, è quindi in accordo con lo scenario prospettato da Frédéric Filloux, spiegato in un articolo su Mondaynote riproposto da LSDI: occorrono link ragionati verso nuove fonti di sapere, non link circolari che rimandano ad articoli residenti nello stesso contenitore (che può essere un giornale). Percepisco, però, una certa mortificazione del lavoro giornalistico.
Mi spiego meglio: nel ragionamento di Filloux c’è l’azione tecnologica (il link), ma non vedo l’azione umana, o la vedo molto poco. Mi aspetterei che i link fossero messi da una mente umana, non da un algoritmo. Oltretutto, riflettendo su un brano specifico dell’articolo, mi aspetterei di non avere l’aggiornamento automatico dei contenuti linkati basato sul profilo dati del lettore. Significherebbe spedirlo direttamente nella sua filter bubble.
Se quello mostrato da Filloux è da intendersi come un servizio professionale di cui l’utente ha bisogno per un approfondimento verticale di un dato argomento, magari per prendere delle decisioni strategiche per la sua azienda, la soluzione è perfetta: viene soddisfatto un preciso interesse e non mi dispiacerebbe se si pensasse di “farci su del marketing”.
Se invece occorre spiegare l’importante, per me, esiste un unico sistema di link indipendentemente dal lettore. E lo decide il giornalista.
Il giornale quindi, secondo me, esiste solo nel secondo dominio, quello dell’importanza (si, certo, qui rischio di inciampare ma la definizione che ho dato della qualità delle unità informative cerca di correggere le derive tipiche dell’informazione non libera). Nel primo dominio, quello dell’interesse specifico, vive il mondo professionale. Mi si dirà che questo è il motivo per cui i giornali economici vendono di più. Si, certo, ma sfido qualsiasi CEO a prendere decisioni leggendo il Sole 24 ore!