Il ruolo sociale della testata giornalistica di informare la comunità, e quindi la bontà del lavoro svolto dai giornalisti, può essere misurato dal Capitale Sociale scambiato tra i suoi membri e dal livello di Benessere (inteso almeno come consapevolezza delle scelte che vengono fatte nella vita quotidiana) della comunità stessa (1).
Gli approcci e le scelte dei modelli delle imprese (sociali) editoriali ovviamente cambiano (dovrebbero) a seconda delle caratteristiche delle comunità.
Una classificazione delle comunità è quella fatta su base geografica. “Dispersed” e “Place Based” sono le definizioni date in un articolo scientifico, “The Effects of Dispersed Virtual Communities on Face-to-Face Social Capital” (2), che studia le dinamiche di accumulo del Capitale Sociale nelle comunità virtuali quando i suoi membri hanno anche la possibilità di frequentarsi offline, in modalità Face-to-Face (FtF). Nello studio si osserva che nelle Dispersed Virtual Community il capitale sociale si accumula perché i suoi membri discutono delle regole (“norms”, quelle che poi applicano nei rapporti FtF) e, aiutandosi, costruiscono un rapporto fiduciario (“trust”) (3). Gli studiosi, nelle conclusioni, raccomandano di dinamicizzare questo circolo virtuoso anche nelle comunità Place Based:
“Virtual community that are explicitly place based (e.g., neighborhood associations) should pay close attention to providing opportunities for people to exchange support and assistance so that they can develop the attachment and loyalty seen in this [dispersed] virtual community in their members.”
Torniamo quindi al ruolo sociale del giornalismo e concentriamoci sulle comunità Place-Based, e quindi, al ruolo sociale delle testate locali anche in relazione alla tecnologia scelta (online o carta): come può agire una testata giornalistica locale perché si accumuli capitale sociale?
Faccio delle ipotesi:
(1) I membri della comunità, discutendo nella Piazza o al Bar delle notizie, hanno già stabilito un rapporto fiduciario e regole di comportamento comuni (per esempio le stesse regole da usare nella conversazione). La testata giornalistica, quindi, già svolge egregiamente il suo lavoro senza necessità della versione online.
(2) I membri della comunità non si incontrano offline, non esiste la conversazione in Piazza o al Bar. La testata giornalistica può in tal caso svolgere il suo ruolo sociale solo in un modo: costituendosi online. Tuttavia, proprio per le raccomandazioni riportate nell’articolo, il ruolo del giornale non può esaurirsi online: deve anche creare occasioni di incontro offline.
Ovviamente le tante realtà si pongono tra queste due estremità e le scelte vanno fatte su base sociale stando molto attenti agli effetti che si possono generare: costruire piattaforme virtuali (cioè agire soltanto online) è una pratica secondo me da evitare ogni volta che esiste il rischio di disgregare (liquefare, per dirla alla Bauman) una comunità. Continuo a ritenere che la Rete abbia allontanato la deriva liquida permettendo una riconnessione a chi si stava separando del tutto, sia chiaro. Oltretutto la tecnologia offre sicuramente il modo di catalogare, di organizzare dati e informazioni, non c’è bisogno di dirlo.
Ma, quando la specificità territoriale lo permette, penso ci si debba sforzare a far camminare le connessioni sociali sull’asfalto, piuttosto che sul cavo. E questo è vero quanto più piccola è la comunità. Man mano che le comunità si fanno più grandi, poi, seguendo le raccomandazioni presenti nell’articolo citato, il ruolo sociale della testata si compie tanto più quanto maggiori sono le occasioni create di connettersi anche nelle (piccole) Piazze: riuscite ad immaginare l’arricchimento che si ricaverebbe se iniziative stile “Repubblica delle Idee” avessero luogo nelle Piazze dei piccoli centri italiani (dando parola a chi vive il territorio)?
(1)E’ poi l’equivalente monetario del Capitale Sociale che misura la qualità dell’articolo: due centesimi di euro per articolo è il risultato del mio calcolo secondo un procedimento ampiamente documentato nel libro
(2)Capitolo 3 del libro Social Capital and Information Technology
(3)Una scuola di pensiero sostiene che il capitale sociale si crei e si accumuli quando tra i membri della comunità c’è condivisione di norme di comportamento e fiducia.