FAQ di #1news2cents

L’aver pubblicato l’articolo su Nòva24 ha reso più ampio il respiro delle riflessioni intorno al mio lavoro di ricerca. Ecco qui la raccolta delle domande che mi sono state poste e le risposte che ho provato a dare(1)(2)(3)

Domanda: Non condivido “di portare senso ai fatti in un modo che, con la carta, non è stato mai nemmeno pensabile”

Risposta: A meno che non si stia parlando di cerchie locali (un Comune per esempio o, meglio ancora, un bar) in cui, sfogliando il giornale, si commenta il fatto dandogli senso magari anche raccontandolo meglio perché lo si è vissuto direttamente, la possibilità di allargare la cerchia su scala nazionale e capire cosa sta succedendo è una possibilità – per altro ancora non declinata bene, imho – che solo Internet può dare.
A questo aggiungi la possibilità di linkare fonti (anche qui, però, hanno tutti paura di portare fuori), di correlare dati, etc…


Domanda: Alla fine del tuo articolo dici di misurare impatto sociale. Come?

Risposta: La risposta che ho dato alla tua domanda passa attraverso studi e modelli matematici provenienti dalla sociologia che io ho poi ulteriormente sviluppato per arrivare ai miei “2 cents”


Domanda: Interessante il discorso del bar, certo impegnativo se tocca poi alla redazione selezionare i contenuti proposti dai lettori con tutti i limiti di rischio vero o solo percepito di censura…

Risposta: Il riferimento al bar è per dire della conversazione che si sviluppa intorno all’articolo cartaceo. Un meccanismo che la rete ovviamente amplifica aumentando il raggio della cerchia e mettendo in contatto più persone (dico cose ovvie, eh!)


Domanda: Io vedo due difficoltà: (1) quella pragmatica della valutazione di ciò che ha “importanza sociale”, o culturale (il commento riguarda la difficoltà nella valutazione di ciò che ha rilevanza sociale, o culturale) e (2) la modalità di mediazione fra il giornalista civico o sociale che dir si voglia e il cittadino. Io temo che i loro obbiettivi continuino a essere sostanzialmente diversi.

Risposta: (1) nella ricerca che ho fatto ho stabilito una metrica della qualità. Il discorso sarebbe molto ampio ma…uno degli attributi che ho considerato è la “tipologia”. Il mio ragionamento, tradotto in modo grezzo è (per fare un esempio): un articolo di gossip non è importante, uno di cronaca giudiziaria si. È evidente che il paradigma è diverso da quello attuale: oggi il metro è l’interesse e quindi il gossip vale di più! (2) sulla mediazione, se penso alle piattaforme online, basterebbe impiegare un buon Social Media Editor. (3) gli obiettivi di giornalista e lettore sarebbero identici (la crescita sociale) se l’impresa editoriale fosse “con finalità sociali”. Cosa che, ancora, cerco di dire nella mia ricerca…


Domanda: analisi suggestiva e competente. ma fa ancora il giro troppo largo intorno al problema centrale: da dove prendere soldi. se parliamo del lettore, questo (sia amatoriale sia professionale), aprirà il borsellino solo nel caso in cui l’informazione in vendita soddisfa un suo bisogno ed è priva di alternative (o succedanei) gratuite. quindi, o il lettore pagante lo conquisti perché gli dai un contenuto informativo per lui necessario di cui disponi in esclusiva (difficile, in tempi di condivisione generalizzata), oppure gli fornisci un contenuto frutto di una selezione eseguita per suo conto, quindi si paga sostanzialmente non per il contenuto ma per il tempo che sarebbe stato necessario a selezionarlo

Risposta: Nell’articolo ci sono degli spunti che poi ho esploso nel mio lavoro di ricerca che va oltre, direi molto oltre l’analisi dell’articolo con delle proposte “concrete” Volendo riassumere: (1) il “soldo” che il lettore paga è un credito di cui il lettore stesso dispone su base quotidiana (lo Stato finanzia l’editoria non con trasferimenti – diretti o indiretti – all’imprenditore, ma cedendo credito al lettore che poi fa la sua scelta) (2) le imprese editoriali devono essere Imprese con finalità sociali, nel senso definito da Yunus, l’inventore del microcredito (3) non è detto che quella con Finalità sociali debba essere l’unico tipo di impresa che opera nel mercato editoriale, ma è l’unica a poter avere finanziamento.
Ho ridotto tantissimo e messo le virgolette alla parola “concrete” perché mi rendo conto che la proposta è pesante e, soprattutto, ha una forte impronta politica. Ma è un punto di vista sul quale credo si possa ragionare…


Domanda: la tua è un’analisi “alta”. io mi sono permesso di volgarizzare. troppo spesso gli stessi giornalisti non sono sul punto. all’università di salerno, ieri, in un (ottimo) incontro di aggiornamento professionale sul data journalism, un ricercatore ritagliava intorno al giornalista attuale i panni del regista multimediale. ho visto parecchi volti perplessi

Risposta: Ti ringrazio per l’aver definito alta la mia analisi ma, credimi, il lavoro che ho fatto in questi anni non l’ho fatto per puro esercizio. Spero di poterci riflettere con il numero di persone più alto possibile…è un modello da limare, ma…


(1)Conversazione con Pier Luca Santoro e Andrea Arrigo Panato
(2)Conversazione con Maria Cecilia Averame
(3)Conversazione con Enrico Sbandi

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