ci vuole un Ponte

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«Ma questo insieme di architetture automatiche – fatto di “bolle”, frammentato, e dovuto al passaggio al digitale – che effetti ha sul cervello umano? La scienza, sull’argomento, sembra dividersi, e non dire molto di definitivo», chiede Fabio Chiusi.
«L’impressione è che l’impatto del digitale sulla cognizione umana non sia affatto chiaro ai neuroscenziati che lo studiano», risponde Luciano Floridi, filosofo dell’Oxford Internet Institute.

Questo, per me, il passaggio più importante dello speciale de L’Espresso, “Carta Vince”, con cui il settimanale si rilancia. Passaggio importante perché mi pare un modo (l’unico?) di fare incontrare, in nome del buon senso che serve per analizzare la complessità delle cose, chi si esalta per la rinascita della carta e chi reagisce sdegnato a una difesa – quella della della carta, per l’appunto – che, c’è da ammetterlo, sembra spesso ideologica: è debole infatti l’argomento dei dati di calo di vendita degli e-book negli Stati Uniti (Sabina Minardi); debole, ormai, la difesa dell’industria tipografica in quanto tale (Raffaele Simone); debole parlare ancora dei banner sui siti web (Davide Crepaldi). Da Davide Crepaldi, professore di Neuroscienze Cognitive alla Sissa di Trieste, viene forse l’argomento più forte: «E’ stato rilevato – dice – che la memoria e la comprensione di un testo sono migliori se il contenuto è letto su carta anziché su tablet o computer» (poi, però, nella mia testa torna il dubbio instillato da Floridi). Ciò che, però, meno mi piace di questa linea difensiva è il suo fare perno soprattutto sulla tecnologia (il titolo dello speciale e la stessa copertina de L’Espresso, “Scusate se il futuro è di carta”, mi sembrano sufficientemente emblematici).

Ma non è che chi si sdegna sia più credibile: gli argomenti, tra quelli espressi a caldo (L’Espresso esce la domenica), sono sembrati – molto banalmente e, ho visto, anche volgarmente – di chi è dall’altra parte della barricata a difendere la “tecnologia antagonista”, il benedetto digitale.

La situazione è molto più complessa, ça va sans dire, e riguarda, oltre che gli operatori del settore (editori, autori, giornalisti), anche e soprattutto i cittadini . E, considerato che in gioco vi è una forte responsabilità sociale (dei primi nei confronti dei secondi), non si può ridurre e pensare di risolvere tutto in una disputa tecnologica.

Ma è difficile fare un ponte tra chi vede nell’altro una minaccia invece che un’opportunità, per parlare di modelli di business. Impossibile partire se l’unico sforzo che si chiede al legislatore è la «detrazione delle imposte sul reddito delle persone fisiche per gli acquisti di libri, quotidiani e periodici», per parlare di modelli sociali.

Già, i modelli sociali.

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6 pensieri su “ci vuole un Ponte

  1. I ponti servono per chi arriva da una sponda del fiume e vuole passare all’altra. È questo periodo storico che vede i protagonisti dell’editoria “divisi” (da una parte chi è nato con la carta, dall’altra chi pensa a prodotti editoriali non più basati su di essa) ma nel corso dei prossimi anni non ci sarà più bisogno di ponti perché si ragionerà in termini di supporti. Quel che non si è realizzata è stata l’ondata di piena digitale paventata dagli editori ma ignorare che già viviamo oggi in universo informativo digitale (come sottolinea Mario Tedeschini Lalli su Twitter) non aiuta nessuno.

    • Ma la questione, forse mi ripeto, è che si ragiona troppo sul terreno tecnologico. Dico l’ovvio ma, in quanto tecnologia, essa non può essere un fine.

      • Ciao Marco, ce ne siamo dimenticati ma anche la carta e se vuoi perfino l’alfabeto (vedi W. Ong, “Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola”, 1986) sono una tecnologia quindi credo sia corretto che il terreno tecnologico sia al centro della discussione.

      • Certo, anche la carta è una tecnologia (che, credo, non possiamo mettere sullo stesso piano dell’alfabeto (*)), ma io credo che la discussione debba ruotare intorno al servizio che si vuole realizzare. Il discorso è complesso, molto articolato e, anche se non l’ho detto chiaramente, dovrebbe riguardare anche le scelte da fare anche sull’Istruzione. Si, insomma, la questione è anche politica…

  2. Ciao Marco, scusa l’eccesso di sintesi, per carta intendevo il libro come oggetto tecnologico. Concordo con te, è un discorso complesso che non possiamo continuare qui; tu hai fiducia che la politica – attraverso la scuola – aiuterà l’editoria a capire qual è il suo futuro? Ne dubito 😉 A presto!

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