Il nuovo @wireditalia. Due parole “con” @massimo_russo e @ferrazza

E’ online la nuova versione di Wired Italia: il direttore Massimo Russo e il suo vice Federico Ferrazza (mi) hanno fatto riflettere molto con i loro pezzi.

Mi sento di condividere ogni parola del direttore, con il richiamo che fa alla felicità. Purché la felicità non sia soltanto uno slogan. La felicità, il benessere, la saggezza sono alla base della teoria del Modello di ecosistema informativo che ho definito nel mio lavoro: la felicità è ciò che si raggiunge (anche) grazie alla condivisione online dell’informazione; la felicità è una condizione che mette in moto circoli virtuosi e che è saggezza quando, proprio per la circolazione delle informazioni – di qualità! – permette di fare scelte più ragionate, più consapevoli (scelte imprenditoriali per chi guida un’Azienda, scelte politiche per chi va a votare, etc.). Mi auguro non si cada nuovamente nella trappola di qualche anno fa, quando la storia del Premio Nobel per la Pace seppe soltanto illudere e a vendere qualche copia in più. Insomma: la Felicità è una cosa seria, trattatela bene!

Sulle parole di Federico Ferrazza, invece, ritengo opportuno soffermarsi. Delle 36 cose che Ferrazza ha imparato negli ultimi 3 anni (sui siti di informazione), ne ho considerate dieci e, per queste dieci, propongo la mia personale visione, il mio commento.

2. Non esiste più (aggiungo: per fortuna) una distinzione netta tra giornalisti, marketing e reparto commerciale. Chi la invoca è fuori dal tempo o semplicemente un/a cretino/a.

Marketing: mettiamoci d’accordo sulle modalità di declinazione del marketing. Se si sta parlando di “dare ai cittadini esattamente ciò che cercano”, beh, a me sa troppo di “panem et circenses” che con la crescita ha poco a che vedere. Se invece ci si sta riferendo al marketing intelligence di ciò che è importante raccontare, di ciò che al lettore deve o dovrà interessare e al packaging che serve per rendere interessante l’importante, allora la musica cambia. Nel primo caso la seconda “regola” la casso; nel secondo caso la sposo totalmente!
Reparto Commerciale: qual’è il modello di business dell’Impresa Editoriale? Qui viene fuori il mio integralismo: la mia idea è che le Imprese Editoriali debbano essere alla Yunus

4. Il successo di un sito web si basa sulla quantità. Ma non quella degli utenti o delle pagine viste, bensì del fatturato. (Sembro Catalano ma ogni tanto è bene ricordarlo).

Dipende cosa ci si fa con i soldi che entrano (oltre che dal modo in cui i soldi vengono fatti, vedi commento al punto 2.). In una logica alla Yunus, più aumenta il fatturato e maggiori sono gli investimenti in innovazione e riduzione costi. Se il fatturato è soltanto margine e ridistribuzione degli utili, allora c’è un problema.

6. Se mai è esistita la distinzione tra giornalismo e intrattenimento, in Rete esiste molto meno.

Purtroppo è così. Ma assecondare questa tendenza diventa pericoloso per chiunque abbia a cuore il ruolo dei giornali e dei giornalisti.

14. Se non esistessero Google, Facebook e Twitter e simili, tutti noi faremmo meno traffico e meno soldi. Gli editori che non capiscono questo, invocando un pagamento (di Google, Facebook e Twitter e simili) per i loro contenuti sono fuori dal tempo e dal mercato.

E’ così! Ma questo non significa che bisogna trascurare la spinosa questione del diritto d’autore. Voglio dire: da qualche parte la ricompensa per i giornalisti dovrà pur venire. Io sostengo che ogni contenuto di qualità distribuito online deve essere pagato e, quindi, il paywall potrebbe essere una prima strada di remunerazione dell’autore.

17. Purtroppo in Italia, nel mercato pubblicitario online, contano ancora tanto le pagine viste, e non gli utenti unici.

Sarebbe il caso cominciassero a contare anche altre cose: il tempo di permanenza sulla pagina e il grado di socialità di un contenuto, di una notizia.

19. I siti di news italiani che non hanno un brand (o casa editrice) forte alle spalle fanno fatica. Non tanto per la raccolta pubblicitaria, ma perché non hanno un sistema (non solo un sito) su cui puntare.

Una soluzione è scritta nel mio libro e, mi ripeto, si chiama Impresa Editoriale con finalità Sociali (alla Yunus). Le uniche (siamo al limite dell’utopia, certo, ma di quelle realizzabili) che dovrebbero ricevere il finanziamento pubblico da parte dello Stato declinato in termini di crediti di accesso all’informazione concesso ai Cittadini secondo il Modello che ho chiamato Fotovoltaico.

32. È importante che i collaboratori esterni e i lettori conoscano il dietro le quinte delle redazioni. Non per un effetto zoo ma per capire tutte le dinamiche e le scelte che a volte possono sembrare sbagliate e inefficienti e a volte lo sono davvero sbagliate e inefficienti. Bisognerebbe trovare il modo e il tempo per fare degli “open day”.

Più che d’accordo. In questo modo i Cittadini si renderebbero conto che quello del Giornalista online è un lavoro e va retribuito. Come? Semplice: pagando le informazioni. L’esperienza alla Redazione de “la Stampa” mi ha confermato questa cosa e sarebbe istruttiva.

34. I paywall non funzionano in Italia, almeno per il momento (e se mi posso lanciare in una previsione: neanche in futuro).

Sul fatto che non funzionino ora è evidente. Sul fatto che non funzioneranno in futuro io non sarei così drastico. Ci sono almeno due fattori in gioco. Il primo: quanto in Italia si crede a tale modello (da un punto di vista culturale prima ancora che da un punto di vista economico)? Per me, prima di ogni cosa, paywall significa pagare l’informazione di qualità; e questo è l’aspetto culturale. Superato questo scoglio si passa al secondo fattore: l’aspetto implementativo. Qui cedo la parola agli esperti!

35. Rifacendo il sito che state navigando abbiamo fatto molta attenzione all’esperienza dell’utente. Sarebbe bello che avvenisse anche nei giornali di carta.

Ma i giornali di carta hanno davvero futuro? Mi fermo alla domanda pur avendo qualche idea sulla risposta. Ma ci ritornerò nei prossimi tempi.

36. Sarò la persona più felice della Terra (vabbè, adesso non esageriamo) quando in tutte le redazioni – oltre ai curatori dei contenuti (anche dal punto di vista social) e al reparto (foto)grafico – ci saranno dei programmatori/sviluppatori. Sono fondamentali quanto i primi due, ma è ovvio che servono dei giornalisti in grado di dialogarci (cioè di capire quello che dicono e di fare richieste sensate).

D’accordissimo. E aggiungo: considerando quanto hanno riportato a casa gli eroi di Atlanta, direi che sarebbe il caso di metterci anche uno smanettone.

Spero ci sia qualche spunto di dibattito.

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